PACE, NEL RISPETTO
DEI DIRITTI UMANI
(Rapporto Amnesty International 2013)
di Giovanna D’Arbitrio
Il mondo attende col fiato sospeso una
decisione che lo porti verso la “Pace o la Guerra”, guerra purtroppo ancora una
volta se le trattative diplomatiche dovessero
fallire. E così noi comuni
mortali, lontanissimi dai complicati circuiti degli interessi politici ed
economici ammantati di vesti “umanitarie”, siamo torturati da inquietanti
interrogativi ai quali son sappiamo rispondere:
“Come si può generare pace con la guerra? Come mai “solo” le armi
chimiche segnano “la linea rossa” oltre la quale non si può andare? Chi le fabbrica? E le atrocità e gli orrori
perpetrati con armi convenzionali non sono forse anch’essi da bandire? Perché i
riflettori si puntano soprattutto su paesi in cui sono concentrati forti
interessi internazionali e si ignorano invece tante nazioni in condizioni
peggiori? E le orrende torture di cui si macchiano anche paesi civili saranno
mai condannate? Chi costruisce tanti mostruosi strumenti per infliggere
sofferenze inimmaginabili ad altri esseri umani? Quando sarà abolita la pena di
morte in tutti i paesi della Terra? Perché non si punta mai su istruzione,
cultura e solidarietà per creare
vivibilità invece che violenza, morte e distruzione?”. E così via. Le domande potrebbero essere
ancora tante, ma le risposte forse sono legate al lento progresso spirituale di
una parte del genere umano.
Se ci
fermiamo a considerare i meccanismi di causa-effetto, probabilmente la
lettura del rapporto di Amnesty
International 2013 ci può fa riflettere su quanto avviene negli scenari
internazionali. Salil Shetty, segretario generale di Amnesty, nell’Introduzione
al suddetto rapporto intitolato “I
diritti Umani non conoscono confini”,
cita nei primi righi le seguenti parole
di M. L. King: “L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la
giustizia ovunque. Siamo tutti presi in una rete di reciprocità alla quale non
si può sfuggire, legati a un unico destino. Qualsiasi cosa colpisca
direttamente uno, colpisce indirettamente tutti.” (Martin Luther King Jr, lettera dal carcere di
Birmingham, Usa, 16 aprile 1963).
Ricordando Malala e la sua
coraggiosa lotta per il diritto all’ istruzione, ella ha messo in evidenza
l’importanza dei social network come
strumento di informazione libera, immediata ed estesa al mondo: -La determinazione di Malala è
andata ben oltre i confini del Pakistan. Il coraggio e la sofferenza delle
persone, insieme alla potenza senza confini dei social network, hanno cambiato
la nostra visione della lotta per l’affermazione dei diritti umani,
dell’uguaglianza e della giustizia e hanno determinato un sensibile cambiamento
del dibattito che circonda il concetto di sovranità e diritti umani. In ogni
parte del mondo la gente è scesa per le strade, correndo un grande rischio
personale, si è esposta nella sfera digitale, per mettere in luce la
repressione e la violenza esercitate dai governi e dagli altri potenti attori.
Attraverso i blog, i vari mezzi di comunicazione sociale e la stampa tradizionale,
la gente ha creato un sentimento di solidarietà internazionale in grado di far
rivivere i sogni di Malala -.
Proseguendo
nella lettura ci colpisce il principio di “sovranità”
delle nazioni che secondo Salil si presta a tante manipolazioni a seconda dei
casi, poiché lo si usa per intervenire o non intervenire in base a vari
interessi, trascurando un altro importante principio, quello della “solidarietà” in difesa dei diritti umani che non hanno confini. Eccone uno
stralcio: -Pertanto, che
cosa potrà significare per i potenti, che si aggrappano al concetto di
“sovranità”,
e abusano del suo significato,
rendersi conto della forza potenziale che ha la gente di smantellare le
strutture di governo e di puntare i riflettori sugli strumenti della repressione
e della disinformazione che loro usano per restare al potere? Il sistema
economico, politico e commerciale creato da coloro che detengono il potere
spesso è stato la causa di violazioni dei diritti umani. Ad esempio, il commercio
delle armi annienta vite umane eppure viene difeso dai governi, che o impiegano
le armi per reprimere il proprio popolo o traggono profitto dal loro commercio.
Il tutto è giustificato in nome della
“sovranità”.
In questa ricerca di libertà,
diritti e uguaglianza, dobbiamo ripensare il concetto di sovranità. La forza
della sovranità dovrebbe, e di certo può , derivare dalla conquista del proprio
destino….Per mantenerlo vivo e per limitare la sua strumentalizzazione,
dobbiamo ridefinire il concetto e riconoscere sia la solidarietà globale sia la
responsabilità globale. Siamo cittadini del mondo. Possiamo interessarci a ciò
che avviene altrove, perché abbiamo accesso alle informazioni e possiamo
scegliere di non rimanere chiusi nei confini. Gli stati si richiamano regolarmente
alla sovranità, facendola corrispondere al controllo sugli affari interni senza
interferenze esterne, per poter fare quello che vogliono. Si richiamano alla
sovranità, comunque in modo pretestuoso, per nascondere o negare uccisioni di
massa, genocidi, oppressione, corruzione, morte per fame o persecuzione di genere.
Ma chi abusa del potere e dei propri privilegi non può più nascondere
facilmente tali abusi. Le persone registrano con i telefoni cellulari e
caricano in rete filmati che rivelano la realtà delle violazioni dei diritti
umani in tempo reale e fanno luce sulla verità al di là della retorica ipocrita
e delle giustificazioni autoreferenziali. Analogamente, le multinazionali e
altri potenti attori privati sono più facilmente soggetti a controllo in quanto
le conseguenze delle loro azioni, per quanto subdole o criminali, sono ormai
difficili da nascondere. Operiamo in un sistema dei diritti umani che dà per
scontato il concetto di sovranità ma che di fatto non lo difende, neppure dopo
la formulazione della dottrina della Responsabilità di proteggere, concordata
nel corso di un summit mondiale delle Nazioni Unite nel 2005, e ripetutamente
riaffermata da allora. È facile vedere perché; anche solo nel 2012 ci sono
stati molti esempi di governi che hanno violato i diritti delle persone che
governano. Un elemento chiave della protezione dei diritti umani è il diritto
di tutte le persone di essere libere dalla violenza. Un altro elemento
fondamentale è dato dai forti limiti imposti alla possibilità dello stato
d’interferire nella nostra vita e in quella dei nostri familiari. Ciò comprende
la protezione della nostra libertà d’espressione, associazione e coscienza -. (http://rapportoannuale.amnesty.it/2013/introduzione)
Che
dire? A noi non resta che pregare e sperare che in Siria non si aggiunga
violenza a violenza con un attacco militare che potrebbe avere chi sa quali conseguenze
a livello mondiale, pregare e sperare che proprio dai rischi di questa
pericolosa situazione si possa giungere ad una svolta significativa nelle
politiche internazionali.
Giovanna
D’Arbitrio