“E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Si.
E cosa volevi? Poter dire di essere
amato, sentirmi amato sulla terra”. (R. Carver)
Con questa citazione inizia “Birdman,
the unespected virtue of ignorance” del regista messicano A.G Inãrritu, film
molto originale, candidato a 9 premi Oscar, che racconta la storia di Riggan
Thompson (M. Keaton), un maturo attore stanco d’interpretare l’immaginario
supereroe Birdman.
Per liberarsi dall’eroe alato
Riggan decide di dedicarsi al teatro, riproponendosi in una veste nuova e
pertanto a Broadway mette in scena un adattamento del racconto di Raymond
Carver, “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore”.
Nel corso di disastrose
anteprime, Riggan deve affrontare molti problemi causati dalle persone che lo
circondano: Laura (A. Riseborough), la sua compagna che pensa di essere
incinta, Lesley (Naomi Watts), attrice che sogna il successo, Mike Shiner (Edward Norton), attore imprevedibile
che non riesce a fingere in scena e invece recita nella vita, Sam (Emma Stone), sua figlia ed ex
tossicodipendente che lo disprezza come padre, Jake (Zac Galifianakis), ansioso
produttore e amico, Sylvia (Amy Ryan,) l’ex moglie ed infine Tabitha Dickinson
(L. Duncan), critica teatrale che vuole stroncare lo spettacolo. Come se non bastasse, egli deve lottare con
il suo Ego che gli appare di tanto in tanto nelle sembianze di Birdman, in una
sorta di schizofrenico sdoppiamento, sollecitandolo a ritornare al cinema.
Dopo
un serrato dialogo con Tabitha, si ubriaca e nelle vesti di Birdman immagina di
spiccare il volo sopra la città allontanandosi da tutto e da tutti. Ritornato sulle
scene riesce comunque a recitare molto bene la sua parte, ma per essere più
realistico e ottenere un riconoscimento della sua bravura, usa una pistola vera
per spararsi un colpo sul viso. Il sangue scorre sul palcoscenico tra standing
ovation degli spettatori e recensione favorevole perfino della cinica Tabitha.
Il
film sorprende fino alla fine con colpi di scena e immagini surreali e simboliche
che ci fanno riflettere su finzione e realtà, condizionamenti e libertà,
successo conquistato col sudore della fronte e notorietà ottenuta senza alcun
merito grazie ai video pubblicati sui social network, allontanamento del pubblico da vera arte, teatro e cultura
fagocitati da imperante cattivo gusto, ricerca di spettacolari effetti speciali
e vuoti supereroi, gente che va a teatro come in un lontano passato si andava
all’anfiteatro per veder scorrere il sangue.
E Riggan è pronto a versare il suo sangue in una disperata ricerca di
approvazione per la sua bravura e per un immenso desiderio d’amore.
Attori
straordinari, dialoghi brillanti, virtuosismi registici evidenziati da una successione ininterrotta di piani di
sequenza: i personaggi entrano ed escono
dal teatro, vanno in strada, s’incontrano nei camerini, percorrono cunicoli e
corridoi del backstage in inquadrature labirintiche e claustrofobiche, accompagnate
dal martellante jazz di una batteria (quella
di A. Sanchez) che solo a tratti cede il
passo a brani di musica classica (Ravel, Mahler, Rachmaninoff, Tchaikovsky).
Un film da vedere per il suo stile dinamico, rocambolesco,
ridondante, ricco di spunti per riflessioni, con personaggi-simbolo della
condizione umana nell’attuale società.
Alcuni
critici hanno visto in Inãrritu un seguace di Altman, ma non si può comunque
negare l’originalità delle sue opere tra le quali ricordiamo 21 grammi, Babel, Biutiful.
Giovanna D’Arbitrio