"PALAZZOKIMBO", UN ROMANZO DI PIERA VENTRE
post pubblicato in
diario, il 9 luglio 2017
Il 17 giugno si è concluso con successo a Sabaudia il Premio Pavoncella 2017 con la premiazione delle 12 brillanti candidate già indicate in un comunicato stampa di Romano Tripodi che la sottoscritta ha divulgato in un precedente articolo.
Il particolare interesse che nutro verso la letteratura mi induce a soffermarmi sul romanzo di Piera Ventre, “Palazzokimbo” (Ed. Neri Pozza) che ha vinto il Premio Pavoncella in tale settore.
Ben illustrato senz’altro il testo nella scheda di presentazione elaborata dall’editore. Eccola: “Nella prima metà degli anni Settanta, Stella, detta a scuola stelladamore, col nome attaccato al cognome, ha un palazzo intero per madre. A Napoli, tutti lo chiamano Palazzokimbo per via dell’enorme insegna pubblicitaria che campeggia sul tetto. Chili e chili di ringhiere, porte blindate, chiavistelli… un clangore di ferro risuona per i suoi otto piani, fino alla cima, una distesa asfaltata e ricoperta di antenne, da cui si scorge tutta la città, compresa la striscia di mare dove si erge la Saint-Gobain, la vetreria proprietaria degli appartamenti in cui vive il personale della fabbrica. Settanta famiglie di operai, come il papà di Stella, e impiegati ed elettricisti che hanno a che fare con silice, ossidi, nitrati e amianto, e rientrano a casa coi vestiti che sopra i baveri sembra vi sia uno spolvero di talco. All’ottavo piano abita la famiglia D’Amore. Ci sono i genitori, zia Marina, la sorella signorina di papà, i nonni paterni, Stella e sua sorella Angela. C’è pure un gatto, battezzato Otto, per un semplice calcolo d’aggiunta. Tanti D’Amore, e ciascuno con un passo e una voce, un modo di sbattere le porte, di strascicare i piedi, di richiudere sportelli, di calibrare il volume della televisione. Quattro piani sotto vive la signora Zazzà, che calza sempre le pantofole, indossa una quantità di stracci variopinti e cela un segreto che nessuno conosce. Quando non si aggira per Palazzokimbo, Stella trascorre il tempo incantato della sua infanzia con Consiglia, l’amica del cuore coi capelli rossi che le sfiammano lampi sulle spalle, le guance accese e la lingua velenosa. Nel ventre di Palazzokimbo penetrano, però, anche i fatti di fuori, gli eventi terribili della fine degli anni Settanta: la deindustrializzazione, il rapimento Moro, la strage di Bologna…L’esistenza dignitosa della brulicante umanità di Palazzokimbo appare allora soltanto come una fugace parentesi, e l’infanzia incantata di Stella come un breve preludio alla consapevolezza dei guasti della vita che l’età adulta dona. Finalista al Premio Neri Pozza 2015, Palazzokimbo svela il talento di una scrittrice capace di dare nuova linfa al romanzo di formazione e di restituirci con brio e impeccabile scrittura l’atmosfera dell’Italia degli anni Settanta”.( Presentazione della casa editrice Neri Pozza)
Davvero coinvolgenti i ricordi d’infanzia di Stella, ricordi che appartengono alla “memoria collettiva” degli anni ’70, in particolare per i napoletani che non solo si ritrovano negli eventi storici di quegli anni, ma anche nelle realistiche e folcloristiche descrizioni di vicoli, espressioni dialettali, detti, proverbi, tradizioni popolari, saggezza e superstizioni.
Un romanzo ben costruito, un mix di moderno e di antico, miserie e nobiltà, luci ed ombre, drammatici eventi storici e vita quotidiana, il tutto visto attraverso gli occhi di una bambina che cerca di conoscere ed affrontare il mondo. Lo stile è originale, sicuro, caratterizzato da una grande potenza narrativa. Particolari le pagine scritte in corsivo, significative pause tra un capitolo e l’altro.
Dai cenni biografici su Piera Ventre apprendiamo che è nata a Napoli nel 1967. Laureata in Logopedia presso l’Università degli studi di Pisa, è specializzata in Assistente alla comunicazione. Socia ordinaria dell’associazione di promozione sociale “Comunico”, collabora con le scuole e con “l’Ente Nazionale Sordi di Livorno”, città in cui vive dal 1987. Ha pubblicato testi brevi su raccolte antologiche e siti letterari. Nel 2011 la raccolta di “Racconti Alisei”, pubblicata da Edizioni Erasmo, ha avuto una segnalazione della giuria al Premio Renato Fucini.
Giovanna D’Arbitrio
FILM "ANNI FELICI"
post pubblicato in
diario, il 9 ottobre 2013
Daniele Luchetti nel
suo nuovo film in parte autobiografico, “Anni Felici”, interpretato da Micaela
Ramazzotti e Kim Rossi Stuart, ci racconta gli anni ’70 attraverso gli occhi di un bambino che osserva
i suoi genitori e il mondo che lo circonda.
La storia inizia a Roma nel 1974: Guido,
artista d'avanguardia, si sente intrappolato in una famiglia per lui troppo
borghese, composta da sua moglie Serena e i figli, Dario e Paolo.
Costantemente coinvolto con suo fratello nelle
burrascose vicende dei genitori tra rapporti amorosi, litigi e tradimenti,
happenings artistici, vacanze e imbarazzanti confessioni, Dario (l’alter ego
del regista) racconta gli anni felici (che allora sembravano infelici) di una
famiglia in cui i suoi genitori erano alla ricerca di se stessi.
Intervistato, il
regista ha affermato: "Direi che nel film prevale un sentimento di
struggente nostalgia. Non tanto per quegli anni, ma per personaggi che hanno
avuto il coraggio di vivere fino in fondo la loro vita, di farsi travolgere
dalla passione. Si tratta di figure ispirate più o meno da vicino a mio padre e
mia madre: il primo vuole essere un artista d'avanguardia, cattivo, libero e
non ci riesce, l'altra viene tacciata di essere tutto il contrario, cioè
ricattatoria, possessiva, una che ha sempre bisogno dell'approvazione altrui, e
invece è proprio lei che trova il coraggio di spezzare l'incantesimo e di
fuggire. Poi c'è il tema dell'arte di quegli anni: le avanguardie, le correnti,
la voglia di rottura, ma il personaggio che racconto non è in quel mondo o
almeno non lo è quanto vorrebbe. E infine, il femminismo, con cui accade un po'
la stessa cosa. La grande corrente che trascina quegli anni è l'inquietudine, un
Paese che si interroga su tutto".
Significativa
la frase di Dario che conclude il film: “Indubbiamente
erano anni felici, peccato che nessuno di noi se ne fosse accorto”.
Colpisce fin dalle prime scene lo stile
un po’ “coatto” della rappresentazione, malgrado le pretese “culturali” ed artistiche
del protagonista, per l’uso frequente di luoghi comuni e di un “romanesco”
piuttosto volgare, ma poi pian piano il film s’innalza a significati più
universali, al tema della ricerca di se stessi attraverso la libertà, agli
inevitabili errori che tale ricerca comporta ed infine alla scoperta di nuove
vie e più ampi orizzonti.
“Anni felici evidenzia” ancora una
volta l’attitudine del regista a presentare problemi epocali attraverso vicende
familiari, come già aveva fatto in “Mio fratello è figlio unico” e “La nostra
vita”.
Giovanna D’Arbitrio
FILM "LA REGOLA DEL SILENZIO"
post pubblicato in
diario, il 25 dicembre 2012
Il film di Robert Redford “La regola del silenzio”, tratto
dal romanzo di Neil Gordon “The company you keep” e presentato con successo al Festival di
Venezia fuori concorso, evidenzia ancora una volta l’interesse del noto
regista/attore per temi cari al cinema democratico americano.
La trama è centrata sulle vicende di Jim Grant (R. Redford),
stimato avvocato vedovo che abita ad
Albany (New York) con la figlia Isabel. La sua vita viene sconvolta da un
giovane reporter, Ben Shepard (S. LaBeouf), che scopre la sua vera identità di
ex pacifista radicale in lotta contro la guerra nel Vietnam negli anni
‘70, vissuto in clandestinità per 30
anni e tuttora ricercato dalla polizia per omicidio. Inseguito da FBI e da
Shepard, egli si dà alla fuga alla ricerca di Mimi Lurie (Julie Christie),
l’unica persona che è in grado di scagionarlo. Aiutato da alcuni membri del suo
ex gruppo, i Weather Undergroud, alla fine egli raggiungerà il suo obiettivo
tra imprevedibili colpi di scena, verità svelate ed interessanti riflessioni
sugli eventi storici del passato che forniscono lezioni anche al giovane
giornalista.
Cercando la verità
con accanimento e determinazione, infatti, Ben scoprirà sconvolgenti segreti ma
sarà in qualche modo profondamente coinvolto, come si evince dalle parole a lui
rivolte da Grant secondo il quale “i segreti sono una cosa pericolosa, poiché
quando scopri qualcosa su un’altra persona alla fine scopri anche qualcosa su
te stesso”.
Osservando il volto dell’anziano attore (75 anni) sullo
schermo, un volto ora molto segnato dalle rughe, vengono in mente immagini del passato quando Robert Redford,
giovane e affascinante, recitò nel film di S. Pollack “The way we were” accanto
ad una superlativa Barbra Streisand (nel ruolo di un’ attivista politica che si
batte con coraggio per i suoi ideali).
Sembra quasi che un
invisibile filo leghi i due film annodando il passato col presente in
un’attenta ed obiettiva (seppur un po’ nostalgica) riflessione sul passato
rivisitato in modo critico: se gli ideali di quegli anni erano giusti, bisogna
riconoscere che essi poi degenerarono in lotta armata e così tanti giovani
pacifisti, nolenti o volenti, si ritrovarono con le mani sporche di sangue o
comunque coinvolti dalla spirale della violenza, come Jim Grant. In un
significativo dialogo con Mimi Lurie che addebita la spirale della violenza
passata e presente interamente al sistema politico stesso che genera guerre, egli invece riflette sugli errori commessi in passato e
sceglie la via della “pace” e degli “affetti familiari” in maniera definitiva.
Un buon film che anche nel cast riesce ad unire passato e
presente, poiché accanto a giovani attori, come Shia LaBeouf, Jackie Evancho,
Anna Kendrick, Britt Marling, troviamo la vecchia guardia rappresentata da
Susan Sarandon, Julie Christie, Nick Nolte, Chris Cooper, Sam Elliott, Brendan
Gleeson, Terrence Howard, Richard Jenkins, Stanley Tucci, Stephen Root. La sceggiatura
è di Lem Dobbs, la scenografia di Laurence Bennet, la colonna sonora di Cliff
Martinez.
Giovanna D’Arbitrio