Nell’ambito del Progetto XXI, con il quale la Fondazione
Donnaregina si propone di collaborare con la Fondazione Morra Greco per
un’esplorazione della produzione artistica più recente, il 12 dicembre alle ore
19,OO al Museo “Madre” di Napoli, verrà inaugurata la mostra delle opere di
Bettina Allamoda e Geoffrey Farmer (aperta fino al 31 gennaio), il terzo appuntamento della rassegna espositiva
intitolata: “Hybrid Naples- l'ordine delle idee deve procedere secondo l'ordine
delle cose”.
Dalla dettagliata illustrazione dell’evento culturale
apprendiamo quanto segue: “Entrambi gli artisti lavorano con immagini e oggetti
trovati a Napoli durante la preparazione della mostra, B. Allamoda presenterà
una serie di sculture dal carattere tattile e molto ibride; mentre Geoffrey
Farmer presenta un film ambizioso, controllato al computer, un work in progress che incorpora migliaia di
immagini trovate, tessute insieme dal suono da parametri algoritmici.
Il titolo della rassegna nasce da una riflessione sulla
città di Napoli e sul suo ruolo di simbolo di ibridazione in continua
trasformazione. Scrisse Richard Sennet nel 2006: “La città aperta per
eccellenza è Napoli, la città chiusa è Francoforte”. Qui Napoli è intesa come
città dotata di capacità di improvvisazione, e quindi di adattamento, e come
luogo capace di accoglienza (nel bene e nel male) nei confronti della diversità
e della dissonanza, in contrapposizione con un modello urbano di
sovradeterminata omologazione. L’idea di città “aperta” e ibrida non si
riferisce tuttavia soltanto a uno stato di fatto attuale, ma è legata ai suoi
tremila anni di storia in cui greci, etruschi, romani, spagnoli, tedeschi,
olandesi e molte altre culture hanno lasciato il segno del loro passaggio.
L’ibridazione intesa come tecnica e realtà culturale di
intersezione e mescolanza di elementi e influenze culturali diversi è un
fenomeno che in anni recenti ha subito un sorprendente processo di
accelerazione grazie a fattori tecnologici di varia natura, dallo sviluppo dei
social media all’utilizzo della tecnologia digitale da parte degli artisti
contemporanei, e che influenza quella che oggi consideriamo arte contemporanea
e quindi, potenzialmente, ogni aspetto della realtà. Sarebbe tuttavia un errore
attribuire un carattere di casualità all’ampiezza di tecniche ed elementi
possibili che caratterizza il lavoro degli artisti contemporanei. A questo si
riferisce la citazione del grande filosofo napoletano Giambattista Vico
(1668-1744) che costituisce il sottotitolo della mostra (“l’ordine delle idee
deve procedere secondo l’ordine delle cose”), tratta dalla famosa Scienza Nuova
(1725), l’opera più importante di Vico, in cui il filosofo teorizza lo sviluppo
della civiltà umana in termini di ricorso ciclico. L’assioma, “l’ordine delle
idee deve procedere secondo l’ordine delle cose”, ci impone una riflessione sul fatto che
l’esperienza condivisa, tipica dell’epoca in cui viviamo, genera idee condivise
e non il contrario …Prendere questo concetto come spunto della mostra significa
volere affermare che alla base dell’opera vi sono l’esperienza dell’artista e
il riflesso che questa esperienza assume nei suoi processi cognitivi, e non il
contrario: le idee non sono prodotti casuali o preconfezionati che l’artista “lancia”
allo spettatore, né il mero risultato di indicazioni date dal curatore alla
ricerca di immagini di ibridazione.
Il lavoro di Bettina Allamoda spinge gli approcci
metodologici sviluppati negli anni Sessanta –anche dagli artisti dell’Arte
Povera – fino a nuove frontiere. Queste nuove frontiere sono quelle di un
paesaggio tecnologico e ideologico radicalmente cambiato, in un mondo
pluripolare, post guerra fredda, connesso dalla comunicazione digitale, e
disconnesso dal divario sempre più ampio fra ricchi e poveri. Quali strategie
adottano i potenti per controllare l’ambiente? Che cosa fanno le persone prive
di potere per sopravvivere? E a quali tattiche ricorre chi cerca ancora di
godersi la vita in mezzo al caos generale? I film, gli edifici, i televisori,
perfino gli oggetti come le transenne o la stoffa elasticizzata per gli
indumenti sportivi cambiano in maniera sintomatica in base a questi sviluppi.
Allamoda crea collage, sculture e installazioni che riuniscono questi sviluppi
trasformandoli in costellazioni ibride, surreali. ….“immagazzinando” così
energia sia fisica che ideologica – tutte cose che Allamoda ha fatto in una
mostra (presso la September Gallery di Berlino) sul tema del complesso militare
- industriale e sulle fantasie di invincibilità e dell’esserne ossessionati
dopo la guerra in Iraq”.
Bettina Allamoda, nata a Chicago, vive a Berlino. Lavora a
livello internazionale dai primi anni ‘90. Fra le sue ultime mostre ricordiamo
“The Dress Don't Fit” presso la Charim Galerie a Vienna, e” Kunsthaus” a Erfurt, Germania (entrambe
nel 2013).
Sul lavoro di
Geoffrey Farmer si legge quanto segue:
“La domanda è centrale in molti modi: oggetti, letteralmente,
cineticamente, costretti a muoversi; immagini che muovono qualcosa dentro di
te, qualcosa che non sapevi neanche ci fosse: suoni che fanno vibrare delle
corde nascoste e che ti coinvolgono. Questo rapporto flessibile fra oggetto,
immagine e suono – che fluttua fra l'inusitato e il comico, il sentimentale e
il bizzarro – viene esemplificato con vivacità dall'ultimo progetto di Farmer “
Let's Make the Water Turn Black” (2013), un'installazione che è come una
coreografia in più parti, che coinvolge più di 70 elementi scultorei che sono pronti a muoversi, o ad essere
illuminati, in corrispondenza ad un a colonna sonora di luce e suono complicata
e controllata dall'uso del computer, chiamata a raccontare di nuovo la storia
della vita di Frank Zappa. Il lavoro di Farmer è un aleatoria genealogia di
controcultura americana, che isola piuttosto che illustrare i suoni e i
sentimenti di questa tradizione attraverso la lente dello
"Zappaesque", che affonda le radici in grottesche sale da musica anni
‘30, folk e blues mordenti e rurali anni Quaranta, rap urbano anni Cinquanta e
musica psichedelica anni Sessanta.
Per Napoli, Farmer ha sviluppato ulteriormente un work in
progress che è diventato un lavoro intitolato “The Process” (2013). Anche qui
l'approccio è abbastanza simile, anche se trasferito al video. Un collage di
fotografie – alcune delle quali trovate a Napoli, in libri e riviste a buon
mercato – si sviluppa, accompagnato da una colonna sonora di rumori, applausi,
zoccoli di cavalli, passi sulla ghiaia. In breve, quei rumori che puoi trovare
in un archivio per il cinema o la radio…. Come i film collage brevi del regista
canadese d'avanguardia Arthur Lipsett, l'opera ci presenta un panorama dei
nostri sentimenti collettivi, i nostri desideri, le nostre paure, una vivace
memoria fantasmatica”.
Geoffrey Farmer vive a Vancouver, Canada. La sua opera è
stata inclusa nella Biennale di Istanbul 2011 e in Documenta 13 (2012). Il suo
progetto” Let's Make The Water Turn Black”, presentato nella sua forma iniziale
al REDCAT (Los Angeles) nel 2011, è stato inaugurato nel 2013 al Migros Museum
Zurich, poi presentato al Nottingham Contemporary, Hamburg Kunstverein, e al
Peréz Art Museum Miami. Una grande retrospettiva sarà aperta al Vancouver Art
Gallery nel 2015.
Giovanna D’Arbitrio