Tratto dal romanzo autobiografico di Albert Camus “Le
Premier Homme”, il film di Gianni D’Amelio “il Primo Uomo” è apparso anche
sugli schermi italiani dopo aver ricevuto il premio FIPRESCI assegnato dalla
critica internazionale al Festival di Toronto.
E’ la storia di Jean Cormery (alias Camus stesso,
interpretato da J. Gamblin)che torna in Algeria, paese in cui è nato da
genitori immigrati di seconda generazione, da Lucien, colono di origine
francese morto durante la I guerra mondiale, e da Catherine (Maya Sansa), di
origine spagnola.
Dopo aver visitato la tomba del padre nel ’57 Jean, ormai
divenuto scrittore di successo in Francia, cerca di diffondere il suo messaggio di coesistenza pacifica tra
francesi e musulmani in un periodo di forti tensioni ed attentati terroristici
per la lotta a favore dell’indipendenza contro il colonialismo: da una parte
c’è la Francia che considera l’Algeria terra ribelle e lontana dove si ritiene
necessario reprimere brutalmente ogni richiesta di libertà, dall’altra i
rivoluzionari che reagiscono con attentati terroristici, respingendo con
durezza le idee di integrazione tra le diverse etnie.
Il quarantenne Jean si sente allora “straniero” tra due
mondi e parte alla ricerca di se stesso attraverso i ricordi dell’infanzia nel
tentativo di riannodare il passato al presente, per scoprire la verità su se stesso
e gli eventi storici attraverso un’analisi di cause ed effetti : continui
flashback ci mostrano un bambino
sensibile, educato da una nonna dispotica (Ulla Bougué), da una madre dolce e
silenziosa, da un affettuoso giovane zio, Etienne (N. Giraud), tutti poveri e
analfabeti, ma lavoratori, onesti e
dignitosi, dotati di buoni sentimenti. Fondamentale la figura di un insegnante,
il prof. Bernard (D. Podalydés), maestro di vita, che lo incoraggerà a
proseguire gli studi e lo aiuterà nella sua crescita umana e spirituale. Sua è
la frase “Un bambino è il germoglio di un
mondo che verrà”.
Sono dunque i valori che lo formarono da piccolo che ora lo
spingono a scrivere e ad esprimere le sue idee sui drammatici avvenimenti dell’
epoca, con il senso di responsabilità di un uomo dotato di una visione più
ampia, più complessa, una visione che da autobiografica e personale, diventa
infine esistenziale, sociale, storica.
Egli afferma pertanto che il dovere di uno scrittore “è di
aiutare quelli che subiscono la storia”, anche se “colui che scrive non sarà
mai all’altezza di colui che muore” per una giusta causa. Pur comprendendo
tuttavia i motivi di quelli che sacrificano la propria vita per la libertà
repressa con metodi crudeli e disumani, condanna fermamente gli attentati
terroristici che spesso mietono vittime innocenti in modo indiscriminato.
Jacques ritorna in Algeria dunque per ritrovare soprattutto
“i rapporti umani del passato” con
l’aiuto della madre ormai anziana (C. Sola), rapporti ancora vivi nel presente in un mondo sconvolto dai cambiamenti.
Prevalgono nel film le luci soffuse, i lumi di candele, il
colore ingiallito di vecchie foto che registrano i ricordi (fotografia è di Y.
Cape), la narrazione lenta, i primi piani sui volti espressivi ed intensi. Solo
a tratti una luce solare invade lo schermo con squarci paesaggistici sul fresco
verde primaverile delle piante o sull’intenso blu del mare. E così, seguendo il
colore, anche la musica sembra in ogni momento sottolineare gli stati d’animo
(colonna sonora di F. Piersanti).
Un bel film, anche se velato di tristezza, un film che
ancora una volta ci dimostra la bravura di G. Amelio, regista e sceneggiatore,
nonché la sua sensibilità nel penetrare
i meandri della psiche infantile, sensibilità già dimostrata in precedenti film,
come “Ladro di Bambini”, “Le Chiavi di Casa” ed altri. Bravissimo anche Nino
Jouglet, il piccolo attore che interpreta Jean da bambino.
Giovanna D’Arbitrio