Piazza Fontana, 12
dicembre 1969, ore 16,37: una bomba esplode nella Banca Nazionale
dell’Agricoltura, 17 i morti, 88 i feriti. I colpevoli ancor oggi restano
ignoti ed impuniti.
Si dava inizio così agli “anni di piombo”, anni in cui nessuno si sentiva tranquillo in
stazioni, aeroporti, treni, aerei e
quant’altro, anni in cui il terrorismo sferrò un attacco violento anche in Italia, impietoso e crudele
soprattutto nel mietere vittime innocenti, persone comuni, lontane dai circuiti
contorti della politica.
E proprio’ questa pagina buia della nostra storia che il
regista Marco Tullio Giordana ci invita a rileggere, offrendoci una versione
“diversa” di due personaggi legati alla
strage di Piazza Fontana: l’anarchico Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) e il commissario di polizia Luigi Calabresi
(Valerio Mastandrea). Il 15 dicembre
1969 Pinelli muore precipitando da una
finestra del Commissariato di Milano nel corso di un interrogatorio. Calabresi
viene ritenuto responsabile di ciò, benché in quel momento non fosse presente: il
17 maggio 1972 viene assassinato davanti alla sua abitazione.
M. T. Giordana li rappresenta entrambi come due uomini onesti e non violenti, vittime di
intrighi nazionali ed internazionali che alimentarono “la strategia della tensione
”, insiste sui loro rapporti basati su reciproca stima, evidenzia il loro amore
per la famiglia: insomma descrive due persone
dignitose e in buona fede anche se di idee politiche differenti. La
stessa dignità caratterizza le donne di
questa storia, Gemma Calabresi (Laura Chiatti), Licia Pinelli (Michela Cescon).
Sulla locandina del film in alto a destra si legge la
scritta ”La Verità esiste”, ma ci si chiede poi a cosa serva se essa non emerge
mai con chiarezza. Il film sottolinea la difficoltà di accedere in genere ad
una corretta informazione sui fatti, per cui lo stesso Calabresi, inizialmente confuso, solo dopo
lunghe ed accurate indagini personali arriva ad una verità che alla fine viene
occultata “per non causare danni maggiori all’intera nazione”: essa diventa pertanto “romanzo”, cioè una
sorta di ricostruzione “fantasiosa” degli eventi poiché le prove mancano, come si evince dal significativo colloquio tra
Calabresi e il capo dell’ufficio “affari
riservati”(interpretato da G. Colangeli).
Lo stesso regista in effetti ha dichiarato che
l’affermazione di Pasolini “Io so, ma non ho le prove”, gli ha fornito lo
spunto per il titolo del film, un “romanzo” diviso in capitoli che racconta un pezzo della
nostra storia ai giovani di oggi, così lontani da quei tragici avvenimenti.
M. T. Giordana dunque dopo
due film di successo come “I 100 Passi” e “La Meglio Gioventù”, viene
elogiato ancora una volta per il suo stile asciutto, privo di falsa retorica e
allo stesso tempo umano, capace di introspezione psicologica.
Concludendo, ci sembra opportuno sottolineare che purtroppo
il terrorismo è sempre la conseguenza di gravi
problemi “irrisolti” che esplodono poi in modo violento, innescando
pericolosi processi distruttivi spesso strumentalizzati per scopi poco nobili. Il
prezzo è alto: si rischia la perdita di libertà e democrazia. E dove domina la
tirannia poi si verifica ancora un processo simile: la stessa soppressione dei valori democratici
con l’uso della forza bruta, prima o poi genera una reazione uguale e
contraria, una sorta di boomerang che
ritorna indietro e spazza via i dittatori, come sta avvenendo nei paesi arabi.
La spirale della violenza è un pericoloso circolo vizioso.
Gandhi riuscì a mobilitare un’intera nazione contro il
colonialismo britannico con “la
resistenza passiva”, oggi invece dopo l’orrendo e devastante attentato alle
Torri Gemelle dell’ 11 settembre, assistiamo ad un’ escalation del terrorismo e
forse anche ad una strumentalizzazione dello stesso a livello mondiale per fini
poco chiari. Dove vogliamo arrivare? La scelta è sempre tra violenza e
non-violenza, inciviltà e civiltà.
Giovanna D’Arbitrio