Serena
Autieri, la bella e brava cantante- attrice napoletana, nota per la sua
partecipazione a numerose fiction e
spettacoli televisivi, film, musical e quant’ altro, sta riscuotendo un
notevole successo al Teatro Diana con lo spettacolo “La Sciantosa – ho scelto
un nome eccentrico”, scritto da Vincenzo Incenzo e diretto da Gino Landi.
La
stessa S. Autieri ha affermato: -Ho
voluto rileggere in chiave nuova ed attuale il “Cafè chantant” con un lavoro di ricerca e rivalutazione nel
repertorio dei primi del ‘900, da brani più conosciuti e coinvolgenti, quali A tazz’ e cafè”e Comme facette mammeta sino a perle nascoste come Serenata napulitana e Chiove, oggi ascoltabili solo con il
grammofono a tromba. Tra una rima recitata e una lacrima intendo riportare al
pubblico quelle radici poetiche e melodiche ottocentesche e quei profumi arabi,
saraceni e americani che Napoli ha ruminato e restituito al mondo nella sua
inconfondibile cifra. Ho voluto fortemente mantenere il clima provocatorio e
sensuale di quei Caffè, e ricreare in teatro quel rapporto senza rete con il
pubblico, improvvisando, battibeccando, fino a coinvolgerlo spudoratamente
nella “mossa”, asso nella manica di tutte le sciantose -.
Nelle “note dell’ autore” di Vincenzo Incenzo si legge
quanto segue: - Incontrare la sciantosa e il suo “nome eccentrico” vuole dire
aprire un baule magico con un immenso tesoro dentro. Vuole dire tuffarsi anima
e corpo nell’oceano della tradizione classica e allo stesso tempo abbracciare
le radici della modernità. ‘A tazz’ e
cafè, Comme facette mammeta, I’ te
vurria vasà, prima di essere meravigliose canzoni, sono testimoni e
sentinelle di un mondo e di un’epoca da proteggere, di un tempo e di uno spazio
in cui germogliano i princìpi tutti della cultura dello spettacolo che verrà.
Serena Autieri entra a schiaffo, con i panni di Pulcinella, nei luoghi e nei
codici del caffè concerto e del varietà, ed è subito Napoli, arte di
arrangiarsi, gioia e disperazione, mare romantico e vulcano incandescente. E’
guerra, colera, miseria ma è anche resurrezione, sorriso, amore. Poi, via la
maschera, e d’incanto Napoli è femmina. Una “mossa”, una rima recitata, una
lacrima, ed eccole, quelle radici poetiche e melodiche ottocentesche e quei
profumi arabi, saraceni, americani che ‘o paese d’’o sole, crocicchio di
riferimenti locali e stimoli provenienti da ogni latitudine, ha ruminato e
restituito al mondo nella sua inconfondibile cifra. Il pretesto dello
spettacolo è la prima grande protagonista di quel mondo, Elvira Donnarumma, “a
capinera napoletana”, colei che sovvertì le regole dell’apparire; bassina,
tarchiata, ma con una voce che toccava le corde dell’anima. Colei che raccolse
i fiori sul palco di Eleonora Duse e Matilde Serao, che rifiutò per spirito
patriottico il contratto in Germania, che sfidò la sua malattia ogni sera fino
alla morte pur di non abbandonare il pubblico; lei che avvolta dalla bandiera
italiana, in precario equilibrio e con gli occhi pieni di lacrime, cantò “Addio”
davanti a tutta Napoli che l’ acclamava-.
Uno spettacolo davvero gradevole, in cui Serena
Autieri ancora una volta conferma le sue magnifiche doti canore, nonché l’abilità
di vera “show woman”, capace di interagire con il pubblico in modo spontaneo,
garbato ed elegante, coinvolgendolo con allegria e spronandolo non solo a
prendere parte attiva al canto, ma perfino ad alzarsi in piedi per cimentarsi nell’
esecuzione della famosa “mossa”.
E il palcoscenico a un certo punto sembra non
bastarle, allora Serena cerca un maggiore contatto con gli spettatori e così
scende tra il pubblico e improvvisa, recitando a soggetto e spazzando via la
barriera tra scena e platea.
Ci sembra
giusto concludere quindi con le parole di V. Incenzo che ben descrivono lo show:
- Gli spettatori diventano parte attiva e memoria di quello che fu, allo stesso
tempo. Una sorta di non-sequitur visuale, dove la rottura della convenzione
scatena la comicità. Risate, lacrime, riflessioni. Il pubblico è preso a
schiaffi e carezze, come quel Pulcinella in incontinenza verbale magistralmente
interpretato da Serena a inizio spettacolo, metafora vivente e
straordinariamente attuale dell’accavallarsi folle di parole del nostro tempo. É
Cafè Chantant ma è anche talent show di oggi, perché cambiano i codici ma non
il messaggio. E’ sguardo critico al presente, allo strapotere dell’immagine
tritatutto, alla mai troppo considerata meritocrazia, ai valori al tramonto di
patria e di famiglia. Ma è soprattutto amore, identità, rivendicazione. É
passato che guarda al futuro-.
Uno spettacolo
da vedere, in cui oltre alla bravura di Serena Autieri, si apprezzano i costumi
di Monica Celeste, la vivace presenza del ballerino e mimo Alessandro Urso, l’ abilità
dei musicisti del “Quintetto Popolare
Italiano” che hanno interpretato con maestria le antiche melodie napoletane.
Giovanna
D’Arbitrio