In “Magic in the Moonlight”
Woody Allen ritorna al tema della magia che in questo film,
come in altri, diventa solo un pretesto per dissertare sul conflitto fra
razionale e irrazionale, ateismo e fede, reale e trascendente: insomma il pericolo di subire
il fascino dell’ irrazionale è sempre in agguato, secondo il
quasi ottantenne Woody che ci appare sempre
più angosciato da dubbi, malgrado la sua incrollabile fede nella scienza.
Il film è ambientato sulla Costa Azzurra nel 1928 e narra la storia di
un gentiluomo inglese, Stanley Crawford (Colin Firth), il quale si diverte non
solo a fare il prestigiatore nelle vesti del cinese Wei Ling Soo, ma anche di
tanto in tanto a smascherare presunti medium, come la giovane e bella Sophia
Baker che cerca di raggirare una ricca famiglia americana in vacanza sulla
riviera francese.
L’arrogante e cinico Stanley si finge pertanto uomo d’ affari, ospite
dei Catledge, e sotto falsa identità comincia la sua opera: imprevedibilmente, tuttavia, subisce il
fascino di Sophia, se ne innamora e per
un attimo s’ illude che i suoi poteri siano reali. Quando scopre che ella è più
abile di lui nel barare, ritorna al suo abituale scetticismo, ma non può
sfuggire alla trappola dell’ amore, unica magia possibile sulla terra. Una
frase di un personaggio, zia Vanessa (Eileen Atkins, ) svela in un lampo il
senso del racconto: “Il mondo può anche
essere del tutto privo di scopo, ma non del tutto privo di magia” (quella
dell’amore ovviamente).
Lo
stesso Woody lo ha ammesso alla fine in
un ‘intervista in cui, parlando del film, ha affermato: “Stavolta sono partito dalle gesta di
Houdini, famoso per aver smascherato falsi medium. Nell’America anni ‘20 erano molti: rubavano i soldi alla gente
fingendo di comunicare con i morti, predire il futuro, possedere strani poteri.
.. La vita è tragica e senza significato, lo si capisce presto. Dio non esiste.
Per sfuggire alla depressione, alla paura, si cerca qualcosa che ci faccia
sentire meglio. Non sono contro la fede individuale, non ho questo tipo di sentimenti,
ma li rispetto. Le organizzazioni religiose, però, sono terribili con i loro
precetti, i capi eleganti che sanno quel che Dio vuole fingendo di avere le
risposte. ..Ero un bimbo quando ho scoperto che non c’era Babbo Natale e non
c’era Dio, nessun uomo con la barba che vegliava sul mondo e aveva creato le
cose. È spaventoso rendersi conto che non c’è nient’altro fuori da te. L’unica
cosa che puoi decidere è vivere la tua vita in modo etico, morale. Non perché
hai paura di andare all’inferno o c’è qualcuno che veglia su di te, ma perché è
buono in sé e non per compiacere un’immaginaria figura paterna… La scienza ci procura le medicine, la tecnologia,
lo sciacquone del bagno, ci fa capire cos’è l’universo, da dove veniamo. E c’è
un progresso costante di invenzioni e scoperte che ci aiutano a vivere una vita
migliore. Le risposte più giuste che può fornire la razza umana le ha trovate
la scienza”.
E fin qui, come al solito, pessimismo,
scetticismo e fede nella scienza predominano nel regista, anche se ci verrebbe
voglia di chiedergli da dove provengano allora tutti i principi astronomici,
matematici, fisici o chimici che regolano il nostro piccolo pianeta e l’intero
universo, ma rispettiamo le sue idee anche se non le condividiamo e preferiamo
evidenziare la parte conclusiva del suo discorso in cui ammette che “Fortunatamente quando ci si innamora, ci si
appassiona. Incontri qualcuno e una piccola magia ti attraversa”.
“Magic in the Moonlight”, film gradevole ed elegante, con i suoi dialoghi
brillanti ci richiama alla mente le raffinate atmosfere britanniche della “Comedy
of Manners” di Etherege e Congreve
o delle commedie di Oscar Wilde:
il tutto esaltato da eccellenti interpreti, accattivanti brani jazz e pezzi di musica
classica(Beethoven, Stravinsky e Ravel), scelti dallo stesso regista -sceneggiatore,
ottima fotografia (D. Khondji) e bei costumi (Sonia Grande).
Giovanna D’Arbitrio